Uno strumento per il recupero fiscale che aumenta competenze, partenariati e campi di applicazione delle tecnologie
Il credito d’imposta è un concetto “general purpose” nell’ampio panorama degli strumenti per il recupero fiscale: spazia da quanto riferibile alle sanificazioni (Covid-19) agli ammortamenti per beni strumentali, dai dividendi agli aumenti di capitale, arrivando alla formazione qualora riferita alle cosiddette tecnologie “4.0” (Intelligenza artificiale, realtà virtuale/aumentata, machine learning, ecc.).
Nella pratica aziendale, tuttavia, uno tra gli strumenti più “gettonati” è stato ed è tutt’oggi il beneficio fiscale derivabile dagli investimenti in Ricerca & Sviluppo.
Le fonti governative ufficiali, attraverso il MISE, lo perimetrano in modo sintetico, ma alquanto efficace: “[…] la misura si pone l’obiettivo di stimolare la spesa privata in Ricerca, Sviluppo e Innovazione tecnologica per sostenere la competitività delle imprese e per favorirne i processi di transizione digitale […]”.
Nel corso dell’ultimo quinquennio, i fattori discriminanti in termini di recupero si sono variamente spostati dalla qualifica alla natura del personale impiegato: si è fatta distinzione tra laureati in discipline tecnico-scientifiche e non, piuttosto che tra personale dipendente (capace in potenza di mantenere know-how in azienda) ed esterno (meno premiante, in logica di dispersione potenziale di conoscenza). Naturalmente, non hanno beneficiato di recupero soltanto i costi di personale: sono stati agevolati i rapporti contrattuali con università e centri di ricerca, con medesima logica sono stati incoraggiati investimenti in privative industriali e l’acquisto di beni direttamente riferibili ad R&D.
Il termine di riferimento per il conteggio è stato infine basato sul cosiddetto “investimento incrementale“, ovverosia sulla capacità aziendale di incrementare i propri investimenti in corso di esercizio rispetto ad una media triennale prestabilita (2012-2014). Il risultato finale consisteva in un recupero variabile tra il 25% ed il 50% rispetto a tale incremento.
Complice forse una congiuntura economica non eccessivamente favorevole, oggi i meccanismi di incentivo sono profondamente variati sia nelle modalità di calcolo che nella dotazione finanziaria complessiva: da un lato è stato concesso alle aziende di conteggiare gli investimenti assoluti, dall’altro è stata imposta una forte differenziazione di contributo in ragione della natura delle attività di R&S.
A partire dal 2020 si deve pertanto ragionare in duplice ottica: attività di ricerca fondamentale, ricerca industriale e sviluppo sperimentale in campo scientifico e tecnologico su di un versante; innovazione tecnologica (ma anche design e ideazione estetica), finalizzata alla realizzazione di prodotti o processi di produzione nuovi o sostanzialmente migliorati sull’altro. Le prime beneficiano di aliquote fino al 12% sugli investimenti effettuati, le seconde non superano il 6%. Il concetto di base premia ovviamente la “distanza” che separa gli investimenti dalla messa sul Mercato e relativo ritorno.
Appare oggi più che mai difficile, anche per grandi corporate, ottenere un’agevolazione apprezzabile in rapporto allo sforzo effettuato. Concorre infatti al trade-off costi-benefici il rischio di non riuscire a concretizzare il know-how acquisito: in altri termini vi è la possibilità che la conoscenza capitalizzata non sia traducibile in opportunità di business, per lo meno non in misura e in tempi accettabili.
Il Gruppo SCAI compensa questa complessa congiuntura differenziando non soltanto la natura, ma anche le modalità di investimento: il credito di imposta si coniuga così con meccanismi già rodati di cofinanziamento per progetti di ricerca industriale e sviluppo sperimentale (regionale, nazionale ed europeo), ad incrementare non soltanto l’agevolazione economica complessiva ma anche la capitalizzazione di expertise, i domini di applicazione delle nuove tecnologie, il partenariato raggiungibile.
Particolare attenzione viene altrettanto riposta nell’utilizzo ragionato dei fondi disponibili per la promozione di ulteriori fattori di competitività (formazione e non solo), rispettando il giusto compromesso tra priorità del gruppo e limiti strutturali imposti dalle norme nazionali sulla concorrenza, come il noto “de minimis”.